Il parere dell'esperto
La passione (non) si sente, ma ogni tanto torna a battere

Il calcio contemporaneo vive una delle sue più grandi contraddizioni: da un lato la necessità di coinvolgere il tifoso, di alimentare la passione popolare; dall’altro quella di mantenere acceso il motore economico che consente al sistema di sopravvivere, fondato su un continuo spostamento di giocatori e tecnici.
Questa mobilità costante genera plusvalenze, gonfia cachet e provvigioni, e talvolta alimenta vere e proprie bolle speculative. Oggi bastano tre gol consecutivi per innalzare un calciatore anche mediocre a presunto top player, con ingaggi esagerati proposti dalle cosiddette “big” e un conseguente ulteriore indebitamento dei club.
In questo contesto, il tifoso rimane sospeso tra la nostalgia dell’attaccamento alla maglia e la consapevolezza di un calcio ormai dominato dal business.
Intanto, i protagonisti del campo mettono in scena teatrini mediatici poco credibili: baciano la maglia della nuova squadra, giurano di averla tifata fin da bambini, proclamano amore eterno o, peggio ancora, postano video sui social in cui dichiarano che “lo Stadio Dall’Ara è il più bello del mondo”, salvo poi esaltare un’altra piazza come “dieci volte più passionale”… tutto questo, ovviamente, grazie ai suoi tre milioni all’anno di stimoli.
Come reagire, allora, da tifosi? Forse con un pizzico di sano realismo, per proteggersi dalle delusioni, ma anche con la capacità di riconoscere e coccolare quei pochi giocatori — come Orsonaldo — che ancora dimostrano con i fatti un vero attaccamento alla maglia, rinunciando a offerte economicamente più vantaggiose.
Orso rimarrà con noi per sempre? Non lo sappiamo. Ma ha più volte ignorato sirene provenienti da altri club per restare a Bologna e, per una volta, parafrasando una nota stazione radiofonica, possiamo dire che in questo caso “la passione si sente davvero”.
Esclusive
Cagliari-Bologna a Marchetti: chi è l’arbitro “freddo” di Ostia

Sarà Matteo Marchetti della sezione di Ostia Lido a dirigere l’importante sfida di campionato tra Cagliari e Bologna. La designazione porta sotto i riflettori un arbitro dal profilo interessante, la cui carriera è in rapida ascesa.
Lo stile di arbitraggio: pochi fischi e gestione “fredda”
Marchetti è un direttore di gara noto per uno stile che predilige la fluidità del gioco. Solitamente fischia poco, concedendo raramente calci di rigore e mantenendo un numero di cartellini contenuto. Questa partita rappresenta per lui un banco di prova significativo, forse più per la sua carriera che per l’incontro in sé. Divenuto arbitro internazionale a partire dal 2025, ogni sua prestazione è attentamente valutata ai piani alti.
Viene descritto come un arbitro intelligente e molto presente sul campo. Unisce un approccio quasi confidenziale con i giocatori a una notevole freddezza nelle decisioni. Non a caso, nella sua sezione arbitrale è soprannominato “Il Freddo”. La sua capacità di gestire con lucidità anche le partite più complesse, dove altri colleghi potrebbero incontrare difficoltà, è una delle qualità che gli ha permesso di raggiungere la Serie A in tempi brevi.
Un futuro in ascesa
il nome di Marchetti è uno di quelli da tenere d’occhio per il futuro. Non va dimenticato, infatti, che dal prossimo anno prenderà il via il progetto che porterà gli arbitri italiani al professionismo. Il modello sarà “all’inglese”, con i direttori di gara che faranno parte di una società totalmente esterna alla federazione. Grazie alle sue qualità e alla sua giovane età, Marchetti è senza dubbio uno dei primi candidati a entrare in questa nuova era del calcio italiano.
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Il parere dell'esperto
L’importanza di essere in Europa per Bologna

Per Bologna città è importante che la squadra rosso-blu sia all’interno di una o più manifestazioni internazionali
Il primo a trarne dei benefici è il brand Bologna, che può finalmente dimostrare al mondo intero la sua bellezza. grazie alle migliaia di tifosi esteri che arirvano in città per le partite e che ne approfittano per rimanerci diversi giorni.
Il secondo beneficio arriva dalle trasferte. L’indigeno felsineo vive la trasferta da vero e proprio viaggiatore, cercando di assaporare quello che la location ti offre. Va allo stadio, ma visita anche i musei, i monumenti, i locali. E fa conoscenza con la gente del territorio. E la vive in maniera comunitaria, con figli parenti ed amici. Bologna esce vincitore da queste esperienze europee; magari meno sul campo ma sicuramente sul piano della civiltà e della cultura.
Un appello alle istituzioni locali : sostenete in qualche modo i mille, duemila, tremila supporter da viaggio. Loro sono i migliori ambasciatori di una bella città, piu’ importanto di uno stand in Fiera o di un video promozionale.
Bologna Caput Mundi
Il parere dell'esperto
Ma che partita sto guardando ? Il calcio sta cambiando

Il calcio sta cambiando al punto che non si capiesce più che partita si stia guardando.
Ricordo l’eccitazione quando le squadre di club introdussero la numerazione personale, abbandonando il vecchio schema dall’1 all’11, o quando sulle maglie comparvero i nomi dei giocatori sul modello americano. Mi emozionai persino per la regola che proibiva ai portieri di prendere con le mani i retro-passaggi: sembrava davvero di entrare in una nuova era del gioco.
Eppure, questo nuovo trend delle maglie “a caso” mi sta mettendo a dura prova. Guardare una partita oggi significa spesso non capire più chi stia giocando; i colori cambiano continuamente, con terze, quarte e quinte divise che sembrano uscite da un catalogo di moda più che da una storia calcistica. Devo affidarmi al tabellone televisivo che segnala il punteggio e i colori in campo, altrimenti rischierei di confondere un Bologna-Juventus per un Lazio-Palermo o la terza maglia dell’Inter per una lattina di Fanta e così via per tutte le squadre.
Il calcio europeo e quello italiano sono sempre stati contraddistinti dall’attaccamento ai colori, dell’amore per una maglia, dell’affezione a un simbolo. E soprattutto per i bambini, quella maglia era un punto fermo nella memoria, una bandiera. Non possiamo non emozionarci davanti alle quattro bande rossoblù verticali indossate da Bulgarelli, Savoldi, Baggio o Signori.
Forse i bambini di oggi, tra quarant’anni, si commuoveranno vedendo una maglia nera di Zirkzee o quella acquamarina di Orsolini.
Magari è giusto così, il tempo cambia e con esso cambiano i simboli. Ma la domanda resta: sono io che sto invecchiando… o davvero non so più che partita sto guardando?
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