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Var tra errori e polemiche: perchè serve una riforma

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Il campionato di Serie A 2025-26 già può essere ricordato come una delle stagioni più difficili nell’era del VAR, con una serie di errori arbitrali che hanno cambiato volto a tante partite.

Una stagione già da record per le sviste

Mai come quest’anno si è assistito a un’annata ricca di sviste gravi, con numerosi match risultati “falsati” da errori in campo e da un utilizzo non uniforme del VAR. Le sfide Milan-Pisa, Verona-Cagliari e Fiorentina-Bologna hanno visto decisioni fortemente contestate e riconosciute dagli stessi ex arbitri: gol convalidati in fuorigioco, rigori mancati su tocchi di mano evidenti, espulsioni non comminate. A queste si aggiungono match come Napoli-Inter e Lazio-Juventus, dove il VAR non è intervenuto su episodi decisivi, nonostante la chiara possibilità di correggere errori manifesti.​

The referee of the match Matteo Marcenaro during italian soccer Serie A match Hellas Verona FC vs Cagliari Calcio at the Marcantonio Bentegodi stadium in Verona, Italy, November 30, 2021 – Credit: Ettore Griffoni

Mancanza di uniformità e trasparenza

La critica principale di società e opinionisti riguarda la mancanza di uniformità nei protocolli, la soggettività nelle interpretazioni e la confusione su quando e come il VAR debba intervenire. In troppe occasioni decisioni simili vengono trattate in modo opposto, alimentando sospetti e lamentele da parte delle squadre. Anche l’esperienza degli arbitri al monitor non ha garantito la giusta chiarezza: persino i direttori di gara più navigati hanno commesso errori gravi o non sono riusciti a correggere quelli dei colleghi in campo

Urge di una riforma

Le istituzioni del calcio sono consapevoli della gravità del problema: si parla già di nuove misure per la stagione 2025-26, con la possibilità che gli arbitri spieghino pubblicamente allo stadio e in tv le decisioni prese dopo l’intervento del VAR, per aumentare trasparenza e responsabilità.  Non sarebbe da sottovalutare un Var a chiamata, come capita già in altre discipline. Staremo a vedere.

 

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La passione (non) si sente, ma ogni tanto torna a battere

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Il calcio contemporaneo vive una delle sue più grandi contraddizioni: da un lato la necessità di coinvolgere il tifoso, di alimentare la passione popolare; dall’altro quella di mantenere acceso il motore economico che consente al sistema di sopravvivere, fondato su un continuo spostamento di giocatori e tecnici.

Questa mobilità costante genera plusvalenze, gonfia cachet e provvigioni, e talvolta alimenta vere e proprie bolle speculative. Oggi bastano tre gol consecutivi per innalzare un calciatore anche mediocre a presunto top player, con ingaggi esagerati proposti dalle cosiddette “big” e un conseguente ulteriore indebitamento dei club.

In questo contesto, il tifoso rimane sospeso tra la nostalgia dell’attaccamento alla maglia e la consapevolezza di un calcio ormai dominato dal business.

Intanto, i protagonisti del campo mettono in scena teatrini mediatici poco credibili: baciano la maglia della nuova squadra, giurano di averla tifata fin da bambini, proclamano amore eterno o, peggio ancora, postano video sui social in cui dichiarano che “lo Stadio Dall’Ara è il più bello del mondo”, salvo poi esaltare un’altra piazza come “dieci volte più passionale”… tutto questo, ovviamente, grazie ai suoi tre milioni all’anno di stimoli.

Come reagire, allora, da tifosi? Forse con un pizzico di sano realismo, per proteggersi dalle delusioni, ma anche con la capacità di riconoscere e coccolare quei pochi giocatori — come Orsonaldo — che ancora dimostrano con i fatti un vero attaccamento alla maglia, rinunciando a offerte economicamente più vantaggiose.

Orso rimarrà con noi per sempre? Non lo sappiamo. Ma ha più volte ignorato sirene provenienti da altri club per restare a Bologna e, per una volta, parafrasando una nota stazione radiofonica, possiamo dire che in questo caso “la passione si sente davvero”.

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Cagliari-Bologna a Marchetti: chi è l’arbitro “freddo” di Ostia

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Skorupski bologna

Sarà Matteo Marchetti della sezione di Ostia Lido a dirigere l’importante sfida di campionato tra Cagliari e Bologna. La designazione porta sotto i riflettori un arbitro dal profilo interessante, la cui carriera è in rapida ascesa.

Lo stile di arbitraggio: pochi fischi e gestione “fredda”

Marchetti è un direttore di gara noto per uno stile che predilige la fluidità del gioco. Solitamente fischia poco, concedendo raramente calci di rigore e mantenendo un numero di cartellini contenuto. Questa partita rappresenta per lui un banco di prova significativo, forse più per la sua carriera che per l’incontro in sé. Divenuto arbitro internazionale a partire dal 2025, ogni sua prestazione è attentamente valutata ai piani alti.
Viene descritto come un arbitro intelligente e molto presente sul campo. Unisce un approccio quasi confidenziale con i giocatori a una notevole freddezza nelle decisioni. Non a caso, nella sua sezione arbitrale è soprannominato “Il Freddo”. La sua capacità di gestire con lucidità anche le partite più complesse, dove altri colleghi potrebbero incontrare difficoltà, è una delle qualità che gli ha permesso di raggiungere la Serie A in tempi brevi.

Un futuro in ascesa

il nome di Marchetti è uno di quelli da tenere d’occhio per il futuro. Non va dimenticato, infatti, che dal prossimo anno prenderà il via il progetto che porterà gli arbitri italiani al professionismo. Il modello sarà “all’inglese”, con i direttori di gara che faranno parte di una società totalmente esterna alla federazione. Grazie alle sue qualità e alla sua giovane età, Marchetti è senza dubbio uno dei primi candidati a entrare in questa nuova era del calcio italiano.

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L’importanza di essere in Europa per Bologna

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Per Bologna città è importante che la squadra rosso-blu sia all’interno di una o più manifestazioni internazionali

Il primo a trarne dei benefici è il brand Bologna, che può finalmente dimostrare al mondo intero la sua bellezza. grazie alle migliaia di tifosi esteri che arirvano in città per le partite e che ne approfittano per rimanerci diversi giorni.

Il secondo beneficio arriva dalle trasferte. L’indigeno felsineo vive la trasferta da vero e proprio viaggiatore, cercando di assaporare quello che la location ti offre. Va allo stadio, ma visita anche i musei, i monumenti, i locali. E fa conoscenza con la gente del territorio. E la vive in maniera comunitaria, con figli parenti ed amici. Bologna esce vincitore da queste esperienze europee; magari meno sul campo ma sicuramente sul piano della civiltà e della cultura.

Un appello alle istituzioni locali : sostenete in qualche modo i mille, duemila, tremila supporter da viaggio. Loro sono i migliori ambasciatori di una bella città, piu’ importanto di uno stand in Fiera o di un video promozionale.

Bologna Caput Mundi

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